HO INIZIATO LA TERAPIA PSICOLOGICA MA
STO PEGGIO DI PRIMA
Iniziare un percorso di terapia psicologica è sempre molto complicato e richiede una grande dose di coraggio che, auspicabilmente, porterà ad un cambiamento del sé. Capita molto spesso, soprattutto nelle prime fasi o se vengono trattate tematiche particolarmente profonde e dolorose, che si esca dalle sedute scossi e che si abbia la sensazione che la propria condizione emotiva e psicologica sia peggiorata di colpo.
Molto spesso chi affronta questo processo è portato a chiedersi se sia una cosa normale o passeggera o se, invece, si debba cambiare professionista di riferimento o interrompere la terapia.
Tutto ciò può essere sempre considerato un accadimento negativo oppure, può essere considerata una fase passeggera che innescherà un circolo virtuoso di cambiamento?
Durante le prime fasi del supporto psicologico è probabile che la persona possa provare sentimenti ansiosi o di confusione, sia da un punto di vista fisico che psicologico. È frequente provare uno stato emotivo e sintomi fisici di ansia e tristezza o ruminazione (insieme di pensieri ripetuti e, tendenzialmente, fastidiosi) sulle tematiche affrontate durante le sedute [1, 2].
Tutte le tipologie di interventi che riguardano l’ambito della salute, sia essa fisica o psichica, possiedono al loro interno entrambe le facce della medaglia: hanno sia la capacità di curare ma anche quella di creare danno. Infatti, su tutti i bugiardini dei farmaci è presente la lista dei possibili effetti collaterali avversi, il cui monitoraggio è obbligatorio. Questo aspetto è ben noto non solo agli addetti ai lavori in ambito medico, ma anche alla popolazione generale; tuttavia, è un tema non considerato per quanto riguarda la pratica psicologica. Perché dovrebbe essere diverso per l’intervento psicologico se la letteratura scientifica evidenzia come la pratica clinica vada a modificare il nostro cervello permettendo dei cambiamenti neuroplastici? E ciò costituisce un punto nodale sul quale è utile soffermarsi [3].
Il Dizionario di Medicina Treccani, spiegando il significato di plasticità (ossia “la potenzialità del cervello di variare funzione e struttura non solo durante il suo periodo di sviluppo, ma anche durante la vita adulta”) precisa che ogni processo di apprendimento e ogni stato di pensiero, implicano a livello strutturale o funzionale una variazione di qualche circuito nervoso [4]. L’espressione di uso quotidiano «cambiare idea» ha un suo corrispondente neurobiologico ben preciso, e significa «cambiare il proprio cervello». Ciò consente di proseguire questa riflessione sul fatto che gli effetti avversi si possono identificare nei sintomi/eventi non voluti ma causati da un trattamento corretto e da un rapporto di fiducia con il professionista che ci segue (sono insiti all’interno dell’intervento stesso) e vanno distinti da quelli causati dalla malpratica. È utile evidenziare come non tutti gli individui sperimentano questa tipologia di effetti all’inizio del percorso intrapreso con il professionista della salute mentale, in quanto ciò dipende molto dalla soggettività di reazione alla terapia, che varia in base allo stato di salute attuale ma anche dalla storia passata del singolo. Nonostante se ne parli poco, dobbiamo normalizzare questa fase che di solito risulta passeggera.
Proviamo a raccontare questo aspetto attraverso una metafora (trasposizione simbolica in immagini che risulta molto utile nella pratica psicologica): giunge l’inverno e non si trovano più vestiti nell’armadio abbastanza caldi da poter indossare, è arrivato il momento di fare il cambio di stagione. Si devono tirare fuori i vestiti estivi dall’armadio, allo stesso tempo inserire in buona vista quelli invernali in modo che siano facilmente raggiungibili. Ci sarà sicuramente una prima fase in cui sembrerà che sia esplosa una bomba nella stanza, si accumuleranno vestiti di tutte le stagioni. Solo dopo questo primo momento di caos, e una volta che l’armadio sarà vuoto, allora si potrà ri-iniziare a piegare i vestiti e a riordinarli in modo più congeniale secondo la stagione attuale [5, 6].
La terapia psicologica funziona pressoché allo stesso modo: in una prima fase si deve lavorare tirando fuori tutte le sofferenze, incomprensioni ed emozioni più profonde; è normale che tutto ciò generi un naturale caos interiore, che, però, molto spesso, fa dubitare dell’efficacia del trattamento. È normale provare una grossa fatica e un enorme scoraggiamento in questa fase. Solo in un secondo momento si inizia a rimettere in ordine i pezzi e a dotarli di senso, affinché si acquisiscano le competenze e le risorse per affrontare anche i periodi più “freddi”. Essendo parte di noi, sofferenze ed emozioni forti non spariscano, bensì tornano nell’”armadio”, ma risulteranno molto più ordinate e comprensibili, lasciandoci liberi di apprezzare la stagione in cui ci troviamo adesso [5, 6].
Una spiegazione di questa fase viene fornita dalle ricerche neuropsicologiche che parlano del fenomeno della “scarica di estinzione”. Dato che tutti i processi mentali derivano da operazioni e funzioni del cervello, durante la terapia psicologica avviene un apprendimento di nuove tipologie di comportamento ed emozioni che avrà un suo corrispettivo nell’utilizzo di nuove “strade” neuronali mai utilizzate prima. L’attività sinaptica è molto plastica, e ad ogni processo di apprendimento o pensiero corrisponde una modifica dei circuiti nervosi, sia a livello strutturale che funzionale. È importante il meccanismo del “potenziamento a lungo termine”: una forma di plasticità sinaptica che consiste in un aumento a lungo termine della trasmissione del segnale tra due neuroni, e che permette una maggior efficacia della nuova sinapsi stimolata da un apprendimento o interiorizzazione di costrutti diversi dal solito [7]. L’essere umano, però, è un “animale” molto abitudinario, risulta, quindi, molto difficile lasciare la “via” vecchia e confortevole per quella nuova che permette un cambiamento. Il peggioramento dei sintomi dipende, quindi, da un ritorno alla via abitudinaria, in quanto essendo un percorso già tracciato e seguito per lunghi periodi è più facilmente utilizzabile (ossia, si è creato un solco neurale profondo). Questo meccanismo è stato studiato e confermato anche attraverso ricerche condotte sugli animali, in uno studio di Golub et coll. (2018), che descriveva il meccanismo dell’apprendimento e le limitazioni, conseguenti all’utilizzo di strade neurali già note. Gli studiosi hanno mappato l’attività cerebrale dei macachi durante un compito di interfaccia cervello-computer: con l’uso del pensiero i macachi dovevano cercare di spostare un cursore per colpire un bersaglio su uno schermo, apprendendo strategie sempre diverse, in quanto il compito diveniva sempre più complesso. Con una serie di analisi successive, i ricercatori hanno scoperto che le scimmie, anziché rimodulare l’attività neurale, tendevano, invece, a riutilizzare gli stessi pattern usati anche nel primo compito più semplice, adottando la soluzione meno ottimale e più dispendiosa in termini di risorse, pur di vincolarsi agli schemi preesistenti che erano abituati ad utilizzare [8].
Questa, dunque, può considerarsi una fase naturale della terapia psicologica, che conduce la persona a diventare più consapevole di come funziona a livello evolutivo, cognitivo, affettivo e di come possa imparare nuove e più efficaci strategie per divenire più adattiva rispetto al proprio modello di funzionamento. Se, invece, questi sintomi e questa sensazione di peggioramento non si estinguono, è necessario confrontarsi con il/la proprio psicologo/a per cogliere eventuali sfumature e capire, in modo più genuino e consapevole, la condizione in cui ci si trova, per poterla risolvere al meglio con l’aiuto del/la professionista della salute mentale. Pertanto, all’inizio della terapia psicologica, lo sconforto e la conseguente delusione vanno riconsiderati in questi termini: “se mi sento così, qualcosa si sta smuovendo in me. Mi trovo sul sentiero giusto”.
Testo ad opera della Dott.ssa Mercugliano Alice
Redazione a cura della Dott.ssa Delli Santi Simona, Dott.ssa Federica Giobbe
e Dott. Gennaro Antonino
Riferimenti:
[1] Barsaglini, A., Sartori, G., Benetti, S., Pettersson-Yeo, W., & Mechelli, A. (2014). The effects of psychotherapy on brain function: A systematic and critical review. Progress in Neurobiology, Vol. 114, pp. 1-14. https://doi.org/10.1016/j.pneurobio.2013.10.006.
[2] Berk, M., & Parker, G. (2009). The elephant on the couch: side-effects of psychotherapy. Australian and New Zeland journal of Psychiatric, Vol. 43, pp. 787-794.
[3] Linden, M., & Schermuly-Haupt, M.L. (2014). Definition, assessment and rate of psychotherapy side effects. World Psychiatry, Vol. 13 (3), pp.306-309.
[4] Treccani (s.d.) “plasticità”. In Dizionario di Medicina Treccani online,
https://www.treccani.it/enciclopedia/plasticita-cerebrale_%28Dizionario-di-Medicina%29/
[5] Casula, C.C. (2004). Giardinieri, principesse, porcospini. Metafore per l’evoluzione personale e professionale. Milano: Franco Angeli.
[6] Faccio, E. & Salvini, A. (2007). Le “metaforizzazioni” nelle pratiche discorsive della psicologia clinica. In E. Molinari e A. Labella (Ed.), Psicologia clinica – Dialoghi e confronti (pp. 123-138), Berlino: Springer.
[7] Treccani (s.d.) “Potenziamento a lungo termine”. In Dizionario di Medicina Treccani online, https://www.treccani.it/enciclopedia/potenziamento-a-lungo-termine_%28Dizionario-di-Medicina%29/
[8] Golub et al., (2018). Learning by neural reassociation. Nature Neuroscience. Vol. 21, pp. 607-616.