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Il doppio standard del CNOP

“Nella prima fase di applicazione delle leggi, come hanno fatto le regioni, si utilizzeranno dei criteri. Molte regioni hanno utilizzato dei criteri di arruolamento privilegiati per fare la selezione: il possesso di specializzazioni universitarie o di attività fatta nelle strutture pubbliche. Quindi è evidente che ci sarà una fase transitoria in cui evidentemente saranno utilizzati dei criteri di selezione, però a regime l'idea è quella di una sorta di corso post laurea che potrebbe in futuro diventare una specializzazione.”

 

Questo virgolettato fa riferimento ad un intervento che il Presidente Lazzari ha fatto all’incontro “Quale formazione per lo psicologo delle cure primarie?”  dello scorso 9 aprile. Si evince chiaramente che la maschera è stata definitivamente gettata sul tema Psicologo di Base e sul tipo di formazione che uno Psicologo o una Psicologa dovrebbe possedere: se hai la specializzazione sei completo e puoi svolgere pressoché qualunque tipo di lavoro, altrimenti sei una figura a metà e non puoi definirti come professionista.



Lo ribadiamo, nel caso ce ne fosse bisogno: non demonizziamo la specializzazione e non ci interessa fare confronti che non sono utili a nessuno. Quello che ci preoccupa è che è lo stesso Ordine a dire che “questo lavoro non coincide con l'attività psicoterapeutica, però sembra sia necessaria una formazione specialistica importante”.

 

Ci chiediamo: visto che lo Psicologo delle cure primarie non farà attività psicoterapeutica, perché affermare che un criterio di selezione deve essere il possesso del titolo di specializzazione? Stiamo leggendo implicitamente che sia la formazione universitaria che l’esperienza pratica fatta durante il tirocinio non siano utili a definire la figura professionale? E che solo la specializzazione in psicoterapia rende uno Psicologo o una Psicologa tale?

 

Come se non bastasse, ci potrebbero anche essere delle differenze tra specializzazioni: “Abbiamo purtroppo questo problema: le nostre specializzazioni universitarie sono ancora troppo svincolate da quello che è poi il concreto mercato del lavoro”.  Speriamo di sbagliarci, ma in questa frase stiamo leggendo una implicita apertura nei confronti delle scuole private a discapito delle scuole pubbliche in cui viene richiesto di svolgere un tirocinio professionalizzante di circa mille ore annuali, che potrebbero far presumere una certa connessione con il “concreto mercato del lavoro”. Tutto ciò non ci sorprende: chi può davvero spostare equilibri politici (e quindi voti) non sono certamente le poche scuole pubbliche delle Università.

 

Altro passaggio che riteniamo utile segnalare è l’ennesimo confronto con i colleghi medici: “A differenza dei medici che invece prevedono che per fare una certa attività devi avere un certo tipo di specializzazione, noi ancora non siamo arrivati a questo. E secondo me è un obiettivo a cui bisognerà anche tendere”.


Siamo una professione diversa, affrontiamo questioni diverse, funzioniamo in maniera diversa. Quello che ci accomuna è l’appartenenza alle professioni sanitarie. Sappiamo come è nata la legge 56/89 e sappiamo i compromessi fatti per poterci definire come professione autonoma, ma sentire ancora dopo 35 anni che dobbiamo seguire il modello medico è svilente.

 

A questo punto la domanda è d’obbligo: visto che per il Presidente Lazzari bisogna seguire l’esempio dei medici, vuole affrontare anche il tema della mancanza di equità nei contratti di specializzazione? Perché ancora l’Ordine non si è espresso sulla mancanza di retribuzione, contribuzione e diritti che gli specializzandi e le specializzande continuano a non avere.


Non lo abbiamo ancora sentito esprimere, in particolar modo, opinioni in merito alle assurde richieste che alcune Asl e alcune Scuole fanno ai tirocinanti, chiedendo loro di pagare per svolgere un tirocinio per cui non vedono un euro.

Non lo abbiamo sentito difendere il lavoro che gli specializzandi e le specializzande fanno all’interno dei Servizi pubblici, contribuendo a sostenere di fatto l’intero Sistema Sanitario.

Non lo abbiamo, soprattutto, visto quando abbiamo chiesto di portare avanti insieme l’equiparazione delle specializzazioni non mediche a quelle mediche.

 

Ci sentiamo per nulla rappresentati da un Ordine che tutto fa tranne che tutelare i propri iscritti e le proprie iscritte. Anzi: tende a fare differenze all’interno della categoria stessa.

 

Più che un Ordine professionale, ci sembra di vedere una corporazione che fa gli interessi solamente di una élite, difendendo le posizioni di una casta già ricca e potente di suo, a discapito dell’intera categoria professionale, con tutto ciò che ne consegue.

 

Le elezioni si avvicinano e si è in campagna elettorale già da un po’. Noi abbiamo le idee chiare su cosa dovrebbe fare ed essere un Ordine professionale.


Lei, Presidente Lazzari?

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