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LA PSICOLOGIA SCOLASTICA NEL SISTEMA FORMATIVO NAZIONALE

Tra i tanti temi su cui abbiamo lavorato in questi mesi, uno in particolare ci ha visti molto impegnati e che è diventato, anche a causa della pandemia, uno dei temi principe nel campo della prevenzione: l'introduzione nel panorama italiano dellə Psicologə Scolasticə.



Nella maggior parte dei paesi europei, il servizio di psicologia scolastica è presente nelle scuole pubbliche per legge. In Italia, tuttavia, non esiste ancora una legge che regola questa figura professionale la quale, quando presente, ha con la scuola un rapporto di lavoro autonomo e temporaneo.


Ciò che viene descritto comunemente è che c’è un bisogno di psicologia nelle scuole perché è proprio dal mondo giovanile che arriva la gran parte di richiesta di supporto psicologico: tra gli studenti e le studentesse sono sempre più diffusi i sintomi depressivi e il disagio psicologico in generale (1 persona su 3 ne soffre e 1 su 10 ha idee suicidarie).

La salute mentale è anche strettamente correlata al rendimento, alla dispersione o all’abbandono scolastico, alle capacità relazionali dentro e fuori il contesto scolastico, che si legano a loro volta inevitabilmente a fenomeni sempre crescenti nell’ambito dell’adolescenza e della giovane età adulta come i disturbi alimentari, il bullismo e il cyberbullismo, la sessualità e l’educazione affettiva, l’intelligenza emotiva e l’uso delle life skills.

Inoltre va anche considerato c


he la scuola è un sistema, e come tale tutti i personaggi implicati (docenti, dirigenti, personale ATA) possono essere soggetti a distress e burnot in quanto professioni di stampo relazionale inserite in un contesto ad alta richiesta prestazionale.


Per cercare di arginare questi fenomeni ormai sotto gli occhi di tutti e a gran voce anche sottolineati da studenti e docenti si è timidamente redatto il famoso protocollo CNOP-MIUR, il quale prevede l’inserimento non stabile né qualitativo di uno psicologo scolastico per 40 ore a semestre, con (fondi permettendo) la possibilità di raddoppiarle, per un totale di 80.


Ci sono stati dei tentativi negli ultimi anni di strutturazione della figura tramite la presentazione di alcuni Disegni di Legge ma che sono rimasti depositati in Parlamento a prendere la polvere e risultano molto spesso limitanti sia nel definire ciò che la figura andrebbe a svolgere nel contesto scolastico sia nella pretesa di inserire in un contesto preventivo solo psicoterapeuti con requisiti letteralmente inesistenti ad oggi.


Ma cosa permetterebbe di ottenere l’introduzione di una figura stabile nell’organico scolastico?

La presenza di una figura che abbia competenze e conoscenze psicologiche all’interno dei contesti scolastici permette una formazione migliore di insegnanti ed educatori/educatrici, per essere di supporto nella valutazione e nella sperimentazione educativa innalzando i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti.

Oltre a ciò, permette di gestire le problematiche professionali e organizzative migliorando le condizioni di lavoro di chi opera nelle scuole, una migliore collaborazione nella gestione del rapporto scuola-famiglia contrastando la povertà educativa e le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, di aiutare nella gestione delle difficoltà di apprendimento prevenendo l’abbandono e la dispersione scolastica, per riaffermare il ruolo della scuola nella società.

Infine, permette di proporre interventi di promozione della salute e del benessere, di supportare insegnanti ed educatori/educatrici nella gestione della classe e delle dinamiche di gruppo.


È per tutti questi motivi che, a partire dalla legge 56/89, viene definita la figura dellə psicologə scolasticə e che prevediamo di inserire già a partire dai Nidi in modo da accompagnare l’individuo e sostenere i suoi caregivers in tutto il suo percorso di crescita.



Ciò che viene proposto è una strutturazione diversa per la scuola dell’obbligo (con interventi gruppali anche in classe oltre che sportelli d’ascolto) mentre per i Nidi e per l’Università l’intervento sarebbe di tipo consulenziale (per i caregivers nel primo caso e per gli studenti e le studentesse nel secondo) e che, quindi, tenga in considerazione le diverse fasi evolutive che caratterizzano i diversi ordini scolastici. Questo per creare un accompagnamento nelle generazioni di studenti e studentesse che implichi diverse modalità definite in base al grado scolastico e alla fase evolutiva della persona.




Per le scuole dell’obbligo l’intenzione è di lavorare su due fronti paralleli: l’inserimento di uno sportello di ascolto psicologico, come già alcuni istituti prevedono, e l’inserimento di alcune ore settimanali di intervento in gruppo in classe, passando dall’educazione e alfabetizzazione emotiva, alla condivisione di tematiche inerenti alle fasce di età o che emergono dalle classi. Questo permetterebbe di lavorare su quelle difficoltà accennate in precedenza, come dispersione scolastica, bullismo, difficoltà nella sfera sessuale, abuso di sostanze stupefacenti, alcoolismo ma anche l’orientamento per la scuola o l’università successiva. Lavorare all’interno delle classi stesse permette di migliorare le relazioni tra pari e sostenere il corpo docente evitando che vada in burnout. E permette agli studenti e alle studentesse di acquisire tutte quelle conoscenze che attengono alle life skills, tutte quelle capacità e abilità sociali, cognitive ed emotive che permettono una crescita personale e professionale per affrontare i cambiamenti della vita come previsto dall’OMS.



Si tratta di una proposta che ha tenuto conto delle indicazioni e delle aspettative che ragazzi e ragazze hanno nei confronti della psicologia e del supporto psicologico nelle scuole, spesso assente o saturo, e di ciò che il sistema scolastico dovrebbe prevedere: un accompagnamento duraturo nel tempo in ogni aspetto formativo ed educativo degli studenti e delle studentesse.

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